Barbara Caputo: “Dall’intelligenza artificiale il prossimo unicorno italiano”
Barbara Caputo sarà ospite del Panel sull’Intelligenza Artificiale con Fabio Ferrari di Ammagamma; Michele Grazioli; Giampaolo Colletti di VedrAI. L’appuntamento è alle Ogr di Torino, il 29 settembre alle 12:20 in Duomo.
“Gli studenti italiani hanno un vantaggio rispetto agli altri: sono abituati alla sintesi, a vedere le cose in prospettiva, non pensano in termini di domanda e risposte multiple”, dice Barbara Caputo, professoressa ordinaria al Politecnico di Torino, dove dirige l’Hub AI@PoliTo, oltre che ricercatrice e co-fondatrice di ELLIS (European Laboratory for Learning and Intelligent Systems). “E sanno arrangiarsi, non si fermano al primo ostacolo”. Di studenti di dottorato e laureandi nel suo laboratorio ne ha un centinaio, ma il numero varia rapidamente, perché l’abbandono scolastico è piuttosto elevato. Contrariamente a quanto succede di solito, però, in questo caso è un segnale positivo: i giovani ricercatori nel suo laboratorio, infatti, spesso lasciano le lezioni perché un’azienda ha offerto loro un lavoro.
“C’è molta più richiesta che offerta, nel nostro settore”, commenta. E c’è il rischio di dedicare tempo ed energie alla formazione di specialisti italiani in intelligenza artificiale, solo per vederli finire in centri di ricerca o aziende non italiane. “Ogni investimento a livello di formazione in AI è un regalo che stiamo facendo ai nostri competitori, perché noi formiamo le persone e poi loro vanno a produrre da altri, e non va bene”, dice.
Il tema è tanto più sentito a Torino, dove sta per sorgere uno dei centri nazionali per l’intelligenza artificiale, con focus specifico su automotive e aerospazio, due settori storicamente di eccellenza della città. Dovrebbe mancare poco: entro fine mese è prevista la stesura dello statuto, poi va costituito l’ente giuridico. Ma nell’ultima campagna elettorale l’intelligenza artificiale, quando c’era, era relegata al massimo a qualche nota a piè di pagina, e non è nemmeno chiaro se a fare il primo passo per il Centro torinese sarà il governo Draghi o il nuovo esecutivo. “Ho due speranze: intanto che si proceda secondo le direttive espresse nel Piano nazionale per l’intelligenza artificiale, senza deviazioni o nuovi inizi; un percorso c’è, seguiamolo. E poi che si ponga tutto il settore sotto il diretto controllo della Presidenza del Consiglio, per dargli l’importanza che merita”, commenta Caputo. L’AI ha una valenza strategica per il Paese. Siamo sommersi dai dati, ne produciamo ogni giorno di più: nella migliore delle ipotesi diventeranno spazzatura digitale, nella peggiore a maneggiarli non saremo noi, ma ci penserà qualcun altro”.
Un precedente illustre c’è, e pure recente: da qualche mese i poteri di indirizzo, coordinamento, programmazione e vigilanza dell’Agenzia Spaziale Italiana sono in carico alla Presidenza del Consiglio, mentre al Ministero dell’Università è rimasta la sola supervisione dell’attività scientifica. “Per questo sono cautamente ottimista, è un precedente di peso”, commenta Caputo.
Ma in cosa primeggia la ricerca italiana sull’intelligenza artificiale? “In quella che chiamiamo intelligenza artificiale simbolica, nella visione computerizzata, dove l’Italia ha visibilità e autorevolezza a livello mondiale, e anche il machine learning è in grande crescita. Senza dire che la comunità italiana di robotica è storicamente tra le più forti del mondo. Da noi ci sono molti picchi di eccellenza, quello che manca è la massa critica, facciamo fatica a fare il passo successivo, per delle debolezze strutturali del nostro sistema accademico. La prima riguarda le modalità di reclutamento, che sono molto rigide, la seconda il trattamento economico. In generale gli stipendi dei ricercatori italiani sono più bassi rispetto all’estero, e in più non si riesce a riconoscere che per alcune discipline il mercato del lavoro è diverso da altre”. E dopo la pandemia, con la diffusione del lavoro da remoto, essere assunti da una multinazionale non significa necessariamente lasciare la propria città: al massimo si prenderà un aereo qualche volta in più.
Il Politecnico ha una lunga tradizione di collaborazione con l’industria, ma spesso i due mondi da noi vengono ancora visti come contrapposti: da una parte la ricerca pura, dall’altra il prodotto. “Invece – sottolinea la professoressa – mettendosi in gioco si aprono opportunità mai viste prima. E il momento giusto è adesso, con il cambio di paradigma dell’intelligenza artificiale che sta passando dalla possibilità di utilizzare quantità di dati pressoché infinite alla necessità di ottenere risultati anche con meno dati”.
Per chi rimane in Italia e si occupa di AI a livello accademico, le strade sono essenzialmente tre: continuare all’interno dell’università, accettare l’offerta di un’azienda, o fondarne una propria. E molti lo fanno: “Tra le startup italiane oggi non c’è un unicorno che si occupi di intelligenza artificiale. Io credo che arriverà nei prossimi anni”, conclude Caputo.